Uno degli adagi più famosi di Warren Buffet afferma che le opportunità migliori per investire nascono in periodi di crisi quando, a causa del panico che si genera nei mercati finanziari, anche ottime aziende si trovano con livelli di prezzi molto bassi rispetto il valore dell’azienda stessa.
Viceversa, dopo lunghi periodi di crescita, avviene esattamente l’opposto. Tutti vogliono salire sul carro e comprano azioni gonfiandone il prezzo al di là del valore reale.

In sintesi, dato il caratteristico comportamento oscillatorio dei prezzi, dovremmo comprare quando i prezzi sono bassi e vendere quando i prezzi sono alti.
La filosofia di investimento che caratterizza chi acquista e vende in base al valore corretto dell’azione è chiamata Value Investing che vede come principale esponente Warren Buffett.
questo approccio, benché altamente intuitivo, non è di facile esecuzione.
Tentare di investire seguendo la strategia “sell highs/buy lows” può essere frustrante.
Ci sono diverse evidenze di mercati toro durati per anni o crolli improvvisi andati ben oltre ogni previsione. Piuttosto che aspettare il momento giusto, per poi magari trovarsi in torto, personalmente preferisco variare la proporzione tra azioni e obbligazioni nel mio portafoglio.
Prima della recente crisi, avevo in portafoglio il 20% in obbligazioni, ad oggi, dopo questo forte crollo dei prezzi, sono sceso al 10% aumentando così la mia esposizione azionaria dall’80% al 90%.
Quali sono gli indicatori per avere un’idea della valutazione attuale di una azienda?
Price to Earnings ratio (PE Ratio)
Premesso che una valutazione è tanto più veritiera quanto più è lo sforzo che ci si mette a studiare approfonditamente lo stato di salute dell’azienda attraverso il bilancio e gli altri documenti fiscali, una prima scrematura si può fare attraverso lo studio di un semplice indicatore: il rapporto prezzo su utili conosciuto come Price to Earnings ratio o molto più semplicemente PE ratio.

Questo rapporto aiuta a dare un’idea del valore di un titolo rispetto ai guadagni dell’azienda.
Maggiore sarà questo rapporto, maggiore sarà la probabilità che questo sia sopravvalutato. Al contrario, un PE basso potrebbe indicare che il prezzo corrente delle azioni è basso rispetto agli utili.
Ricordando che comprare un’azione è come comprare un’azienda, per capirne l’utilità di questo indicatore proviamo a riportare un esempio banale.
Supponiamo che decidiamo di comprare un Bar già avviato che genera 10.000€ di utili all’anno, quindi al netto di tutte le spese e delle tasse. La nostra decisione di investirci sarà differente se il prezzo richiesto è di 100.000 € o 1.000.000€.
Similmente, la nostra decisione di investimento dovrebbe essere differente se dovessimo pagare 10€ o 100€ per un’azione che genera utili pari ad 1€ per azione.
Eppure nel mercato azionario l’investitore medio si comporta differentemente di come agisce nella vita normale. Difficilmente troviamo buoni affari tra le Growth Stocks, ovvero quelle azioni delle aziende che vedono un aumento consistente dei propri utili a tassi superiori della media.
Queste aziende sono molto popolari (es. Amazon e Facebook) e anche quelle più proposte dai consulenti finanziari. Grazie alla loro popolarità i loro prezzi crescono ad un ritmo molto maggiore di quanto crescono gli utili.
Amazon è un esempio. In questo periodo di forte contrazione dei mercati, siccome il suo business si è trovato al riparo da questa crisi, ha attratto molti investitori portando il suo rapporto a circa 100 il che significa che mantenendo gli attuali profitti ripagherà il suo investimento in 100 anni!
Quanto è un corretto valore su cui investire? Non c’è una risposta univoca, dipende dalla tipologia di business e dai livelli di crescita di quel settore. Un settore dove gli utili sono abbastanza stabili anno dopo anno, mi aspetto PE più bassi, mentre là dove gli utili sono in espansione me li aspetto più alti.
Warren Buffett usualmente prendere valori di riferimento inferiori a 15.
Tuttavia quando si fa riferimento al PE, bisogna far attenzione alla solidità degli utili dichiarati dall’aziende. Infatti alcune aziende possono risultare particolarmente profittevoli grazie a utili gonfiati tramite artifici di bilancio.
Similmente si può pensare di calcolare il PE per un intero indice di mercato prendendo l’intera capitalizzazione azionaria e suddividerla per gli utili generati da tutte le aziende che compongono quell’indice.
Tuttavia nella valutazione di un indice, il PE può essere fuorviante. Durante un periodo di recessione i margini aziendali sono più bassi e si vive una forte contrazione degli utili. Quindi il PE ratio diventa più alto.
Viceversa durante una fase di espansione economica, gli utili sono più alti e ne risulta un PE ratio artificialmente più basso. Ci troveremmo a valutare esattamente il contrario di quanto affermato all’inizio ovvero dalla sola valutazione del PE potrebbe sembrare profittevole investire in un momento di massimi e meno dopo una crisi.
CAPE Ratio
Seguendo i consigli di Graham e Dodd, Robert Shiller e John Campbell hanno provato a smorzare la volatilità dei prezzi azionari mediando la capitalizzazione azionaria e sulla media dei profitti lungo gli ultimi 10 anni ovvero in un ciclo economico di medio termine.
L’indicatore che ne esce fuori prende nome di Cyclically adjusted price-to-earnings ratio (CAPE ratio) conosciuto anche come Shiller PE 10.
Dal loro studio, effettuato sullo S&P 500, hanno evidenziato che lungo tutto il 20° secolo, la media del CAPE si è sempre aggirata intorno il 15. Quando il CAPE supera questo valore tende a rientrare verso il valore medio e viceversa quando il CAPE ha un valore inferiore. Tendenzialmente quando si è in prossimità di una bolla il CAPE tende ad essere molto alto, usualmente maggiore di 20.
Qual è il risultato pratico di questo studio? Statisticamente è stato misurato che possiamo aspettare ritorni più alti nei prossimi 10 investendo una somma quando il CAPE è inferiore al valore medio di 15 e più bassi quando il CAPE è superiore a 15.
Lo studio portato dal blogger BigErn nel sua serie Safe Withdrawal Rate ha calcolato i seguenti risultati per lo S&P 500 al variare del CAPE:
- Inferiore a 15: ritorni medi delle azioni del 9%
- Valori tra 15-20: ritorni medi di circa il 6%
- Elevato (20-30): ritorni medi di circa il 3%
- Molto elevato (30+): ritorno medio negativo del -1% nei successivi 10 anni.
Considerazioni pratiche
Detto questo, ad oggi come è questo indicatore?
Nel momento in cui sto scrivendo, il CAPE per lo SP è circa pari a 30, come si evince dal grafico qui di seguito.

Che fare? Evitiamo di investire in questo periodo?
A questo punto va fatta una precisazione, con l’allungarsi dell’orizzonte temporale del nostro portafoglio, maggiore saranno i rendimenti attesi che possiamo aspettarci.
Per orizzonti temporali molto lunghi (30+) il rendimento dei mercati azionari non ha paragoni. Considerando lo SP500 il minimo rendimento annuo ottenuto su 30 anni è stato 7.97% e il massimo 13.63%.

Se quindi si sta seguendo un piano di accumulo (PAC), ha senso continuare ad investire e costruire il patrimonio per i nostri obiettivi di lungo termine.
Diverso il discorso se si deve investire una grossa somma, magari frutto di un’eredità o di una vincita. In questo caso suggerirei la prudenza. Pianificando più investimenti nel tempo, anziché un solo grosso investimento tutto di un colpo.
Ugualmente, se si è prossimi alla pensione o il nostro orizzonte temporale non supera i 10 anni, in un momento del genere eviterei un portafoglio sbilanciato sull’azionario. Al contrario darei più peso alla quota obbligazionaria in modo da stabilizzare il portafoglio e, magari, ribilanciare quando le condizioni saranno più favorevoli.
In conclusione, benché non possiamo mai prevedere quando è il momento giusto per acquistare o vendere azioni singole, avere una percezione dei livelli dei mercati ci guida ad essere più o meno spregiudicati con l’esposizione nel mercato azionario.