Nel precedente articolo ci siamo concentrati ad analizzare i costi di un fondo e come questi siano fondamentali nella scelta di un investimento.
Tuttavia, oltre al costo intrinseco legato al prodotto in sé, ci sono tutta una serie di costi esterni all’investimento scelto che hanno un impatto, talvolta anche importante, sulle performance future.
Se per valutare il TER e altre spese legate ad uno specifico ETF o fondo basta leggere con attenzione i prospetti informativi, i costi esterni non sono così immediati.
Questi costi dipendono principalmente dal broker scelto e dal domicilio fiscale dei prodotti presi in considerazione e possiamo riassumerli in tre categorie.
- Commissioni del brokers.
- Spread Ask \ Bid.
- Tasse.
Commissioni
Gli investitori nella scelta di un broker di investimento pongono particolare attenzione alle commissioni per operare.
Normalmente le commissioni applicate più comuni sono quelle legate alle transazioni e possono essere:
- Fisse: indipendetemente dal volume scambiato, il broker trattiene una commissione fissa dalla somma investita.
- Proporzionali: la commissione è proporzionale ai volumi investiti.
I diversi broker presenti nel mercato applicano una o l’altra forma, o combinazioni di esse, che possono variare anche in base al mercato e\o al prodotto che si sta scegliendo (es. un derivato o un’azione).
In alcuni broker sono previsti anche commissioni per mantenere posizioni aperte in un deterimanto mercato.
Un esempio ne è Degiro che addebita un costo di connessione annuo per ogni mercato in cui si decide operare, ad eccezione del MTA di borsa italiana che è gratuito.
Spread Ask\Bid
Un costo più subdolo e invisibile è rappresantato dallo spread ask\bid.
Spread significa differenziale, in ambito delle contrattazioni finanziarie rappresenta la differenza tra l’offerta (ASK o LETTERA) e la domanda (BID o DENARO).
In maniera molto semplicistica, Il BID rappresenta il prezzo del miglior compratore presente in quel momento sul mercato.
L’ASK rappresenta il prezzo del miglior venditore presente in quel momento sul mercato.
L’accoppiata ASK\BID rappresenta il book di negozazione.
Normalmente Il BID è inferiore al prezzo di ASK e questa differenza, appunto, rappresenta lo spread di negoziazione.
Supponiamo di essere interessati ad acquistare un’azione ABC che presenta il prezzo di BID più alto a 0,99€ e il prezzo più basso di ASK a 1,01€.
Se volessimo comprare immediatamente l’azione, dobbiamo acquistare l’offerta minima presente in quel momento è pagarla a 1,01€. Due centesimi di più di quanto era a quel momento la richiesta di acquisto più alta. Viceversa, se volessimo vendere l’azione, saremmo costretti a cederla a 0,99€.
Questa differenza di due centesimi, appunto, rappresenta lo spread.
Perchè lo spread è importante?
Normalmente, quando si negozia in titoli molto “liquidi” ovvero con molti scambi quotidiani, la differenza è insignificante.
Quando, invece, decidiamo di negoziare in mercati meno scambiati, queste differenze possono essere sostanziali. In questi casi, impostando ordini a “mercato”, ovvero al miglior prezzo possibile, rischiamo di pagare o vendere i nostri titoli con differenze anche del 10% rispetto al prezzo scambiato fino a quel momento.
Per tanto, lo spread di negozazione rappresenta a tutti gli effetti un costo a cui prestare molta attenzione.
Alcuni broker, allo spread reale, aggiungono uno spread del broker. Questo ultimo si discosta da quello reale e viene proposto nel book di negoziazione. Riprendendo l’esempio di prima, invece di vedere uno spread 0,99€ – 1,01€, il broker potrebbe proporre un book come segue 0,98 € – 1,02€.
La differenza tra lo spread reale e quello del broker rappresenta il guadagno del broker ed è a tutti gli effetti una commissione nascosta in ogni transazione.
L’utilizzo dello spread del broker è tipico di quegli operatori, come Etoro, che propongono zero commissioni nelle transazioni.
Tasse
La scelta dell’investimento sia in base al domicilio fiscale e alla tipologia di prodotto che si sceglie impatta anche il regime fiscale al quale si è sottoposti.
La legge italiana prevede un’aliquota del 26% sugli strumenti finanziari e il 12,5% per i titoli di stato.
Se investiamo in prodotti esteri, dovremmo aspettarci che anche il paese dove è domiciliata l’azienda o il fondo in cui stiamo investendo tassi gli utili generati.
In base agli accordi vigenti tra l’Italia e il paese dove è domiciliato il fondo di nostro interesse, l’entità di questa doppia tassazione varia.
Ad esempio, per i dividendi di azioni USA, lo stato americano trattiene, in base agli accordi Italia-USA, il 15% e sul rimanente viene applicata la tassazione del 26% prevista dal nostro regime fiscale. In Francia invece la trattenuta alla fote sale fino al 30%, mentre la tassazione italiana rimane sempre il 26%.
Caso ben diverso se non ci sono specifici accordi commerciali o il fondo non si “armonizza” alle normative europee.
In quel caso i proventi sono da indicare nella dichiarazione dei redditi e soggetti ad aliquota marginale IRPEF.
Sull’argomento tasse c’è in realtà tanto altro da dire, e magari lo approfondiremo in un articolo dedicato.
Lo scopo di questo articolo è solo per mettere in guardia il lettore in fase di scelta dei propri investimenti, per non trovarsi brutte sorprese che riducono le nostre performance di più di quello che ci aspettassimo.