Quando siamo alla ricerca di un investimento, normalmente valutiamo la scelta in base ai rendimenti storici o quelli promessi nel futuro.
Un secondo parametro, che spesso trascuriamo, sono i costi di gestione di un fondo e le varie commissioni a cui i nostri investimenti possono essere soggetti.
Come già ci è capitato di scrivere, sia i fondi comuni che gli ETF fanno pagare agli investitori costi e commissioni di vario genere derivanti dalle gestioni dei fondi stessi.
Questi costi vengono sintetizzati in un indice unico omnicomprensivo: il TER (Total Expense Ratio)
Il TER è espresso in forma percentuale e rappresenta quanto, del capitale investito, ogni anno viene perso per sopperire a questi insiemi di costi che i vari gestori dei fondi ci addebitano.
Il TER può avere un’influenza importante.
Consideriamo un investimento di 10.000€ per 10 anni su uno strumento che ci garantisce il 5%. La differenza di un “solo” punto percentuale ci può far lasciare per strada anche più di 1000€. Quasi il 20% in termini di mancati rendimenti.
Non male considerando la cifra esigua investita.
Questo effetto che ha il TER sui nostri investimenti, è uno dei principali motivi per cui sempre più persone suggeriscono e investono in fondi passivi, gli ETF, a scapito dei fondi comuni di Investimento.
Questi ultimi, caratterizzati da una gestione attiva, sono costretti ad imporre commissioni più alte ai propri investitori talvolta anche di più di un punto percentuali in più.
Certo, l’obiettivo di una gestione attiva, come ci insegna Graham, è di ricercare ritorni superiori al mercato, ma, come ci mostrano i vari report SPIVA, il più delle volte questo non succede o non in misura tale da giustificare costi maggiori.
In verità il TER non mostra tutti i costi che si affrontano nel comprare un fondo o un ETF. Il prodotto con il TER più basso non necessariamente è quello che costa di meno.
Alcuni fondi prevedono delle commissioni di ingresso e/o di uscita. Le prime sono calcolate in funzione del capitale investito e può variare in base al valore della somma impegnata. Le seconde invece sono legate al disinvestimento del prodotto. Spesso questa commissione si riduce man mano che si rimane nel fondo fino ad annullarsi in certi casi. Normalmente le commissioni di ingresso\uscita non sono presenti negli ETF.
Per un ETF è importante invece controllare gli erorri di replica dell’indice di riferimento.
Il discostamento tra le performance dell’ETF e dell’Indice replicato è a tutti gli effetti un costo dell’ETF. Questi errori sono dovuti infatti alle tecniche e i costi di ribilanciamento e agli strumenti finanziari utilizzati (derivati, strumenti fisici etc). Un sistema di bilanciamento più “efficiente” si traduce ad un andamento più fedele rispetto all’indice. Specialmente in presenza di mercati molto volatili, si possono avere discostamenti anche importanti che, alla lunga, hanno un effetto deleterio sul nostro capitale.
Questo tipo di costo non è sempre facilmente rilevabile. Il modo migliore è quello di graficare l’andamento degli ETF in esame contro l’indice di nostro interesse su diversi anni.
Usualmente l’ETF che replica meglio il fondo è anche quello che presenta i ritorni migliori.
Spesso nella lettura dei fondi troviamo riportato la voce della Spesa Corrente (Ongoing charges) che è simile al TER perché include tutte le spese di gestione, ma non tiene conto dei premi di performance. Un confronto rapido tra il TER e la spesa corrente ci può dare subito un’idea di quanto spesso il management si concede un premio per aver performato bene. Sta a noi poi valutare se meritato o meno.
Per concludere, mentre i rendimenti futuri non sono mai prevedibili, l’unica cosa garantita quando scegliamo un fondo sono i costi che andremo ad affrontare.
Prima di investire è opportuno leggere bene i prospetti informativi. Prestando la dovuta attenzione, facendo scelte in grado di contenere i costi possiamo migliorare i risultati dei nostri investimenti in modo certo e misurabile.